Dopo gli anni scolastici obbligatori in Ticino, Filippini segue un semestre al Technikum di Friburgo (classe dei maestri di disegno) e frequenta corsi di disegno al collegio Maria Hilf di Svitto (1933–34). Successivamente si diploma alla magistrale di Locarno (1934–37). Durante la formazione locarnese si reca spesso negli studi di Ugo Zaccheo, avviandosi così da autodidatta al lavoro artistico.
Dal 1938 è frequentata Carlo Cotti a Lugano. Nel 1938 installa a Lugano il suo primo atelier, trasferito nel 1947 a Savosa, nel 1964 a Paradiso e nel 1970 a Muzzano. Nel 1940 sposa la pianista Dafne Salati, con cui avrà i figli Rocco (1943) e Saskia (1946).
Sin dagli esordi, in pieno clima bellico, Filippini è attivo in diversi campi: inizia nel 1934 come disegnatore e nel 1940 è un rinomato affreschista (numerosi lavori pubblici in chiese). Parallelamente scrive romanzi (esordisce nel 1943 con Signore dei poveri morti), drammi radiofonici, saggi critici e opere di teatro.
L’intensa produzione dello scrittore e pittore Filippini riscontra un successo considerevole in area ticinese-italiana, in particolare tra gli anni ’50 e ’70. Prime mostre personali nel 1945 a Lugano e nel 1956 a Roma; prima antologica a Lugano nel 1962. Esposizioni collettive a partire dal 1942 con svariate partecipazioni internazionali.
Nell’Archivio Felice Filippini, aperto nel 2002 a Manno, si conservano alcune centinaia di opere dell’artista e la relativa documentazione.
Come nota Maddalena Disch, la pittura figurativa di Filippini, a tendenza espressiva e improntata a temi dell’esistenza, può essere suddivisa in due fasi distinte:
Il primo periodo (1940–1950) verte su composizioni in tonalità rosse-verdi, dalle superfici lisce, sviluppate a partire dagli affreschi. Temi narrativi popolari e primitivi, soggetti biblici sono al centro delle opere, inscrivibili in generale nel contesto antinovecentista di «Corrente».I contorni frementi si dissolvono espressionisticamente in ambienti privi di gravità, pervasi da accese tensioni.
Nel secondo periodo (avviato nel 1950) troviamo dipinti sempre più astratti. Il realismo magico diviene figurazione crudele, aggrovigliata in veloci gesti grafici oppure riversata in aggressivi drammi cromatici.
Dall’incontro con Alberto Giacometti scaturisce la nota serie di ritratti (1965–69). La produzione pittorica di Filippina resta incentrata fino alla fine sui deliri dell’uomo, visto come martire e come dannato. I soggetti – animali, musicanti, amanti, sportivi, feste popolari, Cristo crocifisso, la folla, autoritratti – sono sempre in preda a lacerazioni e stati di tensione, tradotti in una gestualità pittorica esacerbata, infuocata dalla veemenza dei colori.
Maddalena Disch: «Felice Filippini», in SIKART Dizionario sull'arte in Svizzera, 2004.