Giovanni Genucchi nasce a Bruxelles dove i genitori sono emigrati per lavoro, ma a soli due anni, forse per difficoltà economiche, viene riportato in patria e affidato al nonno materno residente a Marolta, in Valle di Blenio. Qui egli svolge fino a vent’anni vita contadina, ma inizia anche da autodidatta a scolpire il legno; nel 1924 viene richiamato dalla famiglia a Bruxelles, dove trova lavoro presso un intagliatore. Costretto a rimpatriare per malattia nel 1925, si stabilisce a Castro, frazione di Acquarossa, dove comincia un’attività come artigiano-scultore del legno.
Dieci anni dopo lascia il villaggio e si trasferisce alle porte di Lugano, a Barbengo, per entrare in contatto con artisti qualificati e imparare le tecniche della scultura in pietra e in bronzo. Nel 1937 apre un suo atelier di scultura a Bellinzona; seguono le prime personali alla Galleria Bollag di Losanna nel 1944 e nel 1945 alla Galleria Wolfsberg di Zurigo.
Nonostante la crescente qualità della sua opera, Genucchi è però attanagliato dalle continue difficoltà economiche, specie dopo la nascita dei figli. Costretto nel 1949 a tornare a Castro e a fare vita contadina, per anni deve relegare la scultura in secondo piano; nel 1956 gli viene finalmente assegnata una commissione pubblica: la Madonna del Lucomagno, cui segue nel 1962 quella dell’Altare per la chiesa dei SS. Pietro e Paolo a Brissago.
Negli anni ’60 riprendono anche le esposizioni personali e si registrano i primi pubblici riconoscimenti, ma già la malattia sta minando la sua salute.
Nel 1994 esce la prima monografia critica cui si accompagna, a Biasca (Casa Cavalier Pellanda), una mostra antologica. Un ricco fondo sull’artista, costituito da opere e da un’ampia documentazione, è conservato al Museo Villa dei Cedri di Bellinzona, che gli ha dedicato due mostre (1987, 2004). Nel 2012 è stata istituita la Fondazione atelier Genucchi con sede a Castro.
Partito a livello artigianale, ma già con i segni di un animismo che sarebbe riemerso molti anni più tardi, Genucchi si forma nel corso degli anni ’30 muovendosi sul duplice binario del tardonaturalismo ottocentesco e della tradizione rinascimentale (soprattutto quattrocentesca) in sintonia con le tendenze puriste ed evocative di «Valori Plastici» e di «Novecento»: opere caratterizzate dalla purezza delle forme e da una superiore compostezza. L’esperienza della guerra e le privazioni patite lo portano nel corso degli anni ’40 sul versante contrapposto delle accentuazioni espressionistiche e primitivizzanti che lo mettono rapidamente a contatto con i recenti linguaggi della modernità: da Arturo Martini a Marino Marini in particolare.
Gli anni 1945–47 costituiscono un punto cruciale del percorso genucchiano con la definitiva individuazione di forme, motivi e temi che diventeranno tipicamente suoi e identificheranno la sua scultura. A partire da questa data Genucchi farà della figura femminile il centro ispiratore dell’intera sua produzione, comprensivo e allusivo di ogni altra dimensione, anche di quella religiosa, forza primigenia di natura e proiezione mitico-ancestrale di ideali e aspirazioni che attraversano e trascendono l’uomo.
Nella sua splendida analisi apparsa su SIKART (1998), Claudio Guarda nota che “con il passare degli anni, le figure di Genucchi si fanno sempre più compatte, racchiuse nell’armonia dei volumi e nella flessuosa morbidità della linea che le avvolge, in bilico tra naturalezza e trascendenza; egli fa della donna l’elemento che raccorda e lega il mondo degli umani con quello misterioso del cosmo: nella terrena pesantezza dei loro corpi ma con i volti assorti a leggere l’infinito degli spazi celesti, esse sono immagine di pura contemplazione e di sereno raccoglimento, di immedesimazione totale e profonda con la Natura di cui percepiscono la voce arcana”.
Fonte: Claudio Guarda: «Giovanni Genucchi», in SIKART Dizionario sull'arte in Svizzera, 2015.