Figlio di Federico Marioni, incisore-vedutista e stampatore, Mario Marioni è stato allievo del pittore Giovanni Lentini, insegnante di disegno a Brera.
Costretto dagli avvenimenti bellici, nel 1943 lascia Milano e con la madre, e si stabilisce a Lugano. Qui entra in contatto con artisti locali e con l’ambiente culturale intorno al Circolo italiano di lettura. Collabora alla Gazzetta ticinese (dove gli è collega lo scrittore ticinese Mario Agliati); avvia così un’attività che prosegue fino agli anni ’70 (poi per il Corriere del Ticino e Cooperazione): sfociata in articoli vari, talvolta illustrati, prose e critica d’arte.
Nel 1946 si tiene la sua prima mostra personale, presso il Circolo ticinese di cultura, a Lugano.
Nel 1950 rientra a Milano. Con i pittori ticinesi Emilio Maria Beretta, Giuseppe Bolzani, Pietro Salati e Alberto Salvioni costituisce nel 1952 il «Gruppo della Barca», sodalizio teso a superare isolamento e difficoltà connessi al ristretto ambiente regionale. Lavora per l’editore di grafica Luigi Filippo Bolaffio (Lenno, Como); le sue entrate dipendono dall’incisione. Importanti opere di illustrazione con incisioni originali per l’editore-stampatore d’arte Giulio Topi, Lugano: Desgrazi de Giovannin Bongee di Carlo Porta (1961), Della versione dell’Inferno di Dante in dialetto milanese di Carlo Porta (1965), Chemin de Croix di Pericle Patocchi (1967).
Nel 1966 ha luogo una personale a Milano, presentata dal poeta ticinese Giorgio Orelli.
Mario Marioni conduce una vita solitaria e schiva, progressivamente confrontato con una situazione di indigenza. Dopo il 1976 le condizioni della sua vista sono tali da non permettergli più di dipingere né incidere; gli resta la scrittura. L’antologica curata dalla Galleria Matasci di Tenero (Locarno) nel 1980 suscita interesse intorno alla sua figura. Avrà poi luogo una retrospettiva postuma nel 1987, presso la Civica galleria d’arte Villa dei Cedri di Bellinzona.
Artista colto, Marioni accoglie molteplici suggestioni espressive, rielaborandole secondo una dominante vena surreale, a tratti visionaria, e un atteggiamento umanamente partecipe verso i vinti e gli umili, non disgiunto da vigile e caustica ironia. Si distingue un’istanza espressionista di fondo. Legato negli esordi pittorici al clima del Novecento non celebrativo ma «domestico» e ai chiaristi lombardi, parallelamente mostra – in particolare nelle coeve incisioni di figura – un’impostazione arcaico-classica vicina a Carlo Carrà. Ravvisabili richiami anche a Giorgio Morandi, Filippo De Pisis così come a maestri europei quali James Ensor, Marc Chagall o il Picasso del periodo blu (è di Marioni una straordinaria scioltezza disegnativa che ricorda ancora Picasso).
Si possono notare analogie con artisti quali Mino Maccari o Franco Rognoni. Importante riferimento a Mario Sironi, verosimile tassello cruciale nello studio delle forze strutturali dell’immagine, sfociato, tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60, nella notevole parentesi informale. La produzione estrema, degli anni ’70, si informa ad un astrattismo lirico di spunto organico.
Fonte: Maria Will: «Mario Marioni», in SIKART Dizionario sull'arte in Svizzera, 2004.